…e se invece che sui social ce lo facessero in banca?

Il caso Cambridge Analytica tiene banco in questi giorni. I media per la maggior parte non raccontano correttamente cosa sia successo, ma sia sulla carta stampata che sul web  potete trovare una spiegazione dettagliata di come siano andate veramente le cose. Su una cosa invece io vorrei soffermarmi: Le non responsabilità di FACEBOOK.

Voglio spiegarvelo attraverso una metafora: il mio conto corrente bancario principale è con unicredit. E’ molto sicuro. Ho un accesso con utente e password più un token (la chiavetta che dà i numeri per i non tecnici) senza la quale nessuno può fare alcuna operazione. Incontro una persona che di mestiere fa pubblicità e gli dò l’accesso al mio conto corrente, gli dò il mio utente, gli dico la mia password. Gli dichiaro esplicitamente in forma scritta che può usare tutte le informazioni che troverà nel mio conto corrente per offrirmi servizi e prodotti commerciali.

Il giorno dopo lui entra e legge tutti i dati e capisce cosa compro, quando, dove e quanto lo pago. Avendo tutte queste informazioni sulle mie abitudini di consumo, inizia ad inviarmi della pubblicità molto profilata.

A questo punto io mi incazzo per tutta questa pubblicità e con chi mi arrabbio? Se sono intelligente con me stesso. Se sono uno stupido con lui. Se sono uno sprovveduto con Unicredit.

Tornando al fatto di attualità la verità di tutta questa storia è che siamo degli sprovveduti e che Facebook non ha falle di sicurezza. Siamo noi che abbiamo dato ad una terza parte accesso ai nostri dati tanto quanto dargli il nostro utente e la nostra password. Badate bene che quando lo facciamo, Facebook ci chiede una doppia conferma del tipo: ” sei sicuro?” ” ma proprio sicuro?”

Non entro nel merito se sia corretto, etico, legittimo che i nostri dati siano stati venduti per influenzarci politicamente, ma una cosa è certa. A venderli non è stato Facebook ma noi stessi.

 

2 risposte a "…e se invece che sui social ce lo facessero in banca?"

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